LO STADIO "DEA CARBONEA" E LA BIRRARIA "SARTEA"




Ci fu un tempo in cui, un centinaio d’anni or sono, a Vicenza, esisteva un luogo esotericamente sacro agli Dei del Pallone che, accettando di prendere le umane sembianze di biancorossi guerrieri, combattevano le loro epiche battaglie calcistiche su di un rettangolo di gioco posizionato nel Borgo di San Felice, tra campagna e città, dove l’odore di terra bagnata e sudore si mescolava al rumore che le loro scarpe bullonate creavano, danzando su quel palcoscenico fatto non in tavole di legno, ma, bensì, di sassi, fango e “carbonea”.
Già. Perché se a Vicenza, c’è un Borgo che può farti trasudare emozioni, palpiti e sensazioni, questo è certamente San Felice. Per l’antica strada Postumia ne che traccia la spina dorsale dal centro città in direzione Verona, nel corso dei Secoli, sono passate tonnellate di Storia. Quella storia fatta da Re e da gente semplice, da eserciti in rotta da guerre perdute, da contadini e da operai.
San Felice iniziò ad esistere un migliaio d’anni prima di chiamarsi cosi, considerato che già in epoca Paleo-Veneta c’era un’importante necropoli; poi, successivamente, verso la fine del IV secolo, furono gettate le basi della Chiesa, futura Basilica, completata solo nel secolo VIII° grazie all’arrivo in loco dei Monaci Benedettini, che affiancarono il loro convento, di cui c’è ancora traccia importante, arrivati giusti in tempo per vedere tornare a casa, alla fine dello stesso secolo, le spoglie mortali del martire Felice, giustiziato ad Aquileia ma nato proprio sulle terre del Borgo. Nell’anno del Signore 802, Carlo Magno pernottò presso il convento, partecipò alle funzioni religiose in Basilica, elargendo anche una generosa offerta per completare i lavori di ampliamento della chiesa. Per San Felice passò nel 1797 anche l’Infame Napoleone diretto verso Venezia per togliere la libertà alla nostra sacra Repubblica Veneta.
E poi, il 23 Maggio 1848 combattuta la sanguinosa Battaglia notturna della Loggetta tra le truppe Lombardo-Venete e giovani rivoluzionari al servizio della massoneria piemontese, proprio davanti al luogo dove, nel 1896, Silvio Caregaro Negrin, avrebbe eretto la casa in stile “Liberty” che ospita, dal 1913, la Birraria “Sartea”.


Il nuovo stadio di San Felice fu davvero un evento importante per la città di Vicenza. Venne realizzato nei primi mesi del 1919 e per l’epoca era un impianto sportivo moderno, dotato di tribuna in legno con addirittura annessa baracca degli spogliatoi. Nel corso degli anni '20 la tribuna fu poi edificata in cemento e gli spogliatoi portati nello spazio sottostante. Fu solennemente inaugurato domenica 22 giugno 1919 con ila disputa del match amichevole Vicenza - Triestina, davanti ad un foltissimo pubblico ed alla presenza di autorità politiche e militari di ogni ordine e grado, come riportato da “Il Giornale di Vicenza”. Andava a coprire il buco lasciato dal vecchio campo sportivo ubicato in Borgo Casale che non riuscì a sopravvivere alla Grande Guerra. 


Lo spazio utile fu ottenuto dal Comune di Vicenza per gentile concessione di Giacomo Sartea, già giocatore biancorosso, che donò il terreno adiacente alla sua Birraria diventando anche Presidente della società tra il 1919 e 1920.
Furono gli anni mitici in cui la "Sartea" divenne la Club House dell'Associazione del Calcio a Vicenza, ritrovo abituale anche dei tifosi biancorossi.
L'accesso allo stadio era reso possibile da una stradina sterrata delimitata da due colonne (diventata oggi la Via Rattazzi) alla quale si poteva accedere da San Felice ma anche, direttamente, dal giardino estivo della Birraria "Sartea", attraverso un piccolo cancello, non più utilizzato dagli attuali proprietari.


Si giocò a San Felice fino a all'8 settembre 1935, quando venne inaugurato il nuovo campo sportivo del Littorio, oggi stadio “Romeo Menti”. 
Ecco, questa storia non può che cominciare dalla "dinastia" dei Menti.
Proprio Romeo, detto "Meo" con i suoi fratelli Berto e Mario, nacquero a San Felice ed abitavano giusto all’angolo tra le Vie Legione Antonini e Bixio, dove c’era al piano terra l’Osteria gestita dai loro genitori. Dal terrazzino del secondo piano di casa Menti, si poteva nitidamente vedere il terreno di gioco, ubicato a pochi metri in linea d’aria al di là della strada.
Ma a livello calcistico, San Felice non è solo i Menti. È il quartiere dei due fratelli Vallesella, dei tre fratelli Tonin e Griggio (Silvio, il più giovane, fu giocatore di Vicenza e Lazio oltre che presidente biancorosso dal 1946 al 1949), di Adriano “Nano” Bassetto (in Serie A con Vicenza, Sampdoria, Atalanta e 1 volta nazionale italiano nel 1954), dei Romanzini padre e figlio, dei cinque Gianesello, di Guerra e di Busato.
E’ proprio I’intreccio incredibile di uomini e delle loro storie che rende questo spazio di tempo corrosivo pregno di una vibrante, inesplicabile magia.
E anche se, oggi, ci sono quattro grandi condomini ad occuparne, per gran parte, l’antica superficie è possibile identificare esattamente dove sorgesse il perimetro di gioco e la tribuna, proprio grazie ai riferimenti che troviamo, nelle foto storiche, dati dalle case Liberty di Via Legione Antonini che si sono tutte salvate dalle barbarie di guerre e di scellerati piani regolatori comunali.
Se qualcuno dotato di animo sensibile prendesse il coraggio di andare proprio li, nel vecchio cuore di San Felice, tra quei blocchi di cemento gettati in ordine sparso tra Via Faccio, Giolitti e Legione Antonini, non avrebbe certo difficoltà ad immaginare il carismatico Gino Vallesella (giocatore biancorosso e guardiano dello stadio fino a che non emigrò negli States) chiamando per cognome i ragazzini dell’epoca quali i Galla, i Muraro, i Menti, i Griggio per mandarli con le carriole presso la fonderia Beltrame, nella vicina Via del Petrolio (oggi Via Cattaneo), a caricare carbonina e pirite utile a coprire le buche e a livellare il terreno di gioco. Permettendo, poi, loro, in cambio, di dare vita ad interminabili partite pomeridiane dentro a quello che in poco tempo per tutti divenne lo “Stadio dea Carbonea".

O a vedersi con una di quelle vecchie, incredibili, disuguali maglie biancorosse indosso, con la voglia di scattare improvvisamente sulla fascia destra come Romeo, fino ad arrivare alla bandierina del corner, posta quasi all’angolo con l’attuale Via Giolitti, per crossare al centro; o di essere sulla fascia sinistra, in Via Faccio all’altezza dell’attuale Confcommercio, e di sentirsi bomber Spinato che prende palla sotto la vecchia tribuna in legno, assiepata di tifosi e, saltati un paio di avversari, puntare la porta avversaria dell’Edera Trieste fino a trovarsi a tu per tu con il portiere ospite che in perfetta uscita bassa evita la rete. 

Peccato, niente boato del pubblico. L’arbitro fischia la fine.
Un abbraccio con gli avversari. Un saluto agli spalti. Ci incamminiamo tutti insieme verso l’uscita dello stadio, imboccando il vialetto di sassi verso San Felice, giusti per “giocare” il Terzo Tempo in Birraria “Sartea”.
Immagino di entrare nel giardino della Birraria proprio da quel piccolo cancello in legno verde che si utilizzava allora, posizionato quasi all’angolo con Corso San Felice, oggi ricoperto e nascosto da una folta siepe.
Come se fosse un varco spazio-temporale, creato da uomini di fede, in perenne e vana attesa, quanto me, che gli Dei del Pallone, possano tornare, fosse anche solo per una volta, di nuovo, a casa loro.
                                      


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